Nostalgia

Stranger Things, analisi di uno dei fenomeni mediatici più importanti del 2017. Spoilerfree.

di Pietro Carubelli

Quasi sempre quando una serie tv, un videogioco, un film o una band, del quale non seguivo già lo sviluppo, diventa un fenomeno mediatico, aspetto sempre che si calmino le acque prima di averci un qualsiasi contatto. Questo è esattamente ciò che accadde un anno fa con la serie esclusiva Netflix Stranger Things, che è recentemente tornata ad essere tra gli argomenti più discussi sul web grazie al rilascio della seconda stagione. Per chi ancora non sappesse di cosa sto parlando, Stranger Things è una serie tv che narra della vicenda di un gruppo di quattro ragazzini che devono fronteggiare dei pericoli sovrannaturali che vanno oltre le loro possibilità, il tutto ambientato negli anni ottanta. Ma cosa ha decretato l’enorme successo che ha portato già al rinnovo della serie per una terza stagione? Prima di tutto una trama molto coinvolgente e piuttosto originale che potremmo indicativamente far appartenere al genere “horror”, un horror fatto di ansia e suspance , mai dagli ormai disprezzati “jumpscares” che ormai infestano qualsiasi prodotto finalizzato alla paura, film o videogioco che sia. Fin dal primo episodio lo spettatore è in grado di capire dove la trama si svilupperà e che genere di avventura andrà a seguire, e una volta terminata la visione non sarà più in grado di staccarsi dal video, infatti Stranger Things riesce sempre a far terminare gli episodi nel momento giusto, al culmine di un climax che si costruisce minuto per minuto fino a lasciare il povero spettatore in balia dell’effetto “Netflix” per il quale ogni forma di senso del dovere muore e improvvisamente non si sentono più fame, sete, sonno o qualsiasi altra forma di necessità. Un altro punto importante è il numero degli episodi e la loro durata, infatti Stranger Things sembra appositamente creato per essere visto tutto d’un fiato e senza interruzioni, presentandosi in 8 (prima stagione) e poi in 9 (seconda stagione) episodi dalla massima durata di un’ora, per un totale di 7 ore circa a stagione. Tra i protagonisti spiccano gli anni ottanta, forse la serie stessa non è altro che un inno nostalgico a quel periodo, “una lettera d’amore ai classici degli anni ottanta che hanno affascinato una generazione”. Infatti tutta la serie è colma di citazioni all’immaginario filmico, letterario e musicale di quegli anni: palesi i riferimenti a Stand by Me (1986) e The Goonies (1985), ma anche a Close Encounters of the Third Kind (1977), Alien (1979), E.T. the Extra-Terrestrial (1982), The Thing (1982) e al romanzo IT (1986). I temi ripresi sono quelli dell’infanzia, dell’amicizia fra bambini/primi adolescenti e del fascino e della paura dell’ignoto. Il tutto contornato da una colonna sonora eccezionale perfettamente coerente, nella quale troviamo brani del calibro di Shoud I Stay or Should I Go? dei Clash, Africa dei Toto, Every Breath You Take dei The Police, Time After Time di Cyndi Lauper e Heroes di Peter Gabriel. La nostalgia è quindi senza ombra di dubbio il punto di forza di questa serie. Una nostalgia nuova, strana e mai provata: la nostalgia del non vissuto, o almeno questo è ciò che ho sentito io vedendo e adorando Stranger Things.