“Januensis” (Il Genovesino)

di Perseo Serventi

 

Splendida riuscita di una mostra pittorica attesa, fortemente voluta e sicuramente all’altezza delle aspettative. Il pittore nato a Genova con il nome di Luigi Miradori ha vissuto per breve tempo nella sua città natale e dopo il 1630, si è trasferito a Piacenza sotto la protezione dei Farnese. Ha lasciato nella sua bella Genova solo due opere pittoriche e, forse per questo, non è stato mai celebrato o considerato dalla popolazione ligure. Approdato a Cremona dopo la morte della giovane moglie piacentina , viene accolto nella città dalle autorità ecclesiali, dai nobili e dal castellano spagnolo con grande entusiasmo e, attraverso le richieste lavorative di questi, dipinge opere in diverse chiese della città come S. Marcellino, S. Imerio, il Duomo e anche opere private. Il soprannome di “Januensis” e, successivamente, “Genovesino”, gli fu attribuito proprio dai cremonesi che vedevano in lui oltre che un pittore talentuoso, anche un individuo originale. Nella biografia del Miradori si legge della sua totale incapacità di leggere e scrivere, del fatto che fosse “un uomo molto allegro, bizzarro e faceto, che suonasse benissimo il colascione triorbato” e che avesse un aspetto “di spagnolesca baldanza: camminava egli per la città con berretta rossa alla genovese, coi mostacci alla spagnola e barbetta al mento, nella guisa che si vede il di lui ritratto nel quadrone laterale a sinistra dell’altare maggiore della chiesa di S. Francesco”. Si pensa che fosse comunque un viaggiatore al quale piacesse visitare luoghi nuovi e diversi dai conosciuti. Lo dimostra la sua pittura stupendamente accesa di colori poco lombardi e molto fiamminghi giocati in chiari e scuri perfettamente inseriti in prospettive e profondità infinite. Anche la scelta dei paesaggi di fondo con montagne, lontana dal gusto padano e movimenti e palazzi gugliati con un barocco continuamente mischiato ad una ricerca di realismo nel proporre, sotto ogni quadro, cani scodinzolanti, leoni accucciati. Nel riprendere quasi fotograficamente scene perfette sotto il profilo delle proporzioni, le sue opere sono ricche di una ricerca di particolari quasi descrittivi come il pizzo macramè che esce dai calzari del nobiluomo, dove la pittura diventa lavorazione di un punto dopo l’altro. Stupendi i putti, gli angioli e tutte le figure infantili di bimbi che sembrano messi in posa per la nostra gioia. Un particolare curioso è che nel ‘600 si usavano i sandali infradito, di cuoio per gli uomini e, per le donne, con una fascetta leggera in morbida pelle. Stupendo e famosissimo il quadro  della sosta durante la fuga d’Egitto che tornerà nella chiesa di S. Imerio a fine mostra e che potremo rivedere presto nella sua naturale ubicazione.