Gli alunni del Liceo Manin in dialogo con il giornalista Flavio Tranquillo  – venerdì 4 dicembre 2020

Giornalismo, Sport, Legalità: questa la triade che ha guidato nella mattinata del 4 dicembre un incontro dialogato tra alunni e docenti del Liceo Manin con il giornalista, scrittore e telecronista sportivo Flavio Tranquillo. Con questa iniziativa, infatti, il Liceo Manin ha partecipato, come scuola della rete CPL Cremona, alla settimana della Legalità “Costellazioni di Legalità. I molteplici volti della criminalità organizzata: come riconoscerli, come re-agire”.

I nostri giovani hanno bisogno di testimoni più che di maestri, o meglio, se ascoltano i maestri, lo fanno perché testimoni”. Ebbene, le parole di Papa Paolo VI sono riecheggiate quanto mai pertinenti in questa circostanza. Flavio Tranquillo si è rivelato davvero un maestro-testimone, facendo trapelare dalle sue risposte accorate al fluire delle domande che via via gli venivano poste da docenti e studenti la concretezza di un mondo esperito, di dinamiche apprese per conoscenza diretta, quindi, una consapevolezza assunta per mondi esplorati, incontri fatti, pensieri meditati e interiorizzati.

Dieci parole quelle che costituiscono l’ossatura del libro I dieci passi. Piccolo breviario sulla legalità, scritto insieme al magistrato Mario Conte, e che come tessere di un mosaico si affiancano, si intersecano, si intrecciano nella riflessione sulla “cultura” della legalità: dialogo, mafia, legalità, giudice, processo, soldi, società, sport, informazione, dovere. Ora, se associamo i dieci passi all’idea di movimento e riportiamo il termine ‘cultura’ alla sua etimologia latina (da colere, coltivare), si ricava la necessità di un impegno attivo, di un’azione concreta da parte di tutti e di ciascuno, a partire dal basso, ovvero dai gesti della nostra quotidianità, combattendo con i fatti la logica del favore, del privilegio, della fila saltata e della raccomandazione che avvelena la democrazia. Solo a partire dal nostro comportamento quotidiano potremo costruire una vera etica della responsabilità, per trasformare l’indignazione passeggera di fronte ai soprusi e alle ingiustizie in motivazione che nutre l’azione. Il giornalista ha rimarcato più volte il concetto di “virtù civile”: virtù civile per uomini e donne che desiderano vivere con dignità, facendo quello che possono, quando possono, per servire la libertà comune. Uomini e donne che svolgono la propria professione con coscienza, senza trarre vantaggi illeciti; uomini e donne che vivono la vita familiare su una base di rispetto reciproco in modo che la loro casa assomigli più ad una piccola repubblica che non ad una monarchia o ad una congrega di estranei tenuta insieme dall’interesse o dalla televisione. Uomini e donne che assolvono i loro doveri civici, che sono capaci di mobilitarsi per impedire che sia approvata una legge ingiusta o per spingere chi governa ad affrontare i problemi nell’interesse comune; uomini e donne che sono attivi in associazioni di vario genere e che vogliono capire e non essere guidati o indottrinati.

Per alcuni l’impegno viene da un senso morale e più precisamente dallo sdegno contro le prevaricazioni, le discriminazioni, la corruzione, l’arroganza e la volgarità. Altri sono mossi da interessi legittimi: desiderano strade sicure, monumenti rispettati, scuole serie e ospedali veri.

In un generalizzato depauperamento di ideali e virtù, l’unica strada per recuperare valori e credibilità sociale è che ciascuno di noi, nel settore che occupa, faccia davvero il proprio dovere, anteponendo l’interesse comune e generale al proprio, sempre. Quando conviene e anche quando non conviene.

Come educare e educarsi allora alla cultura della legalità?

Lo sport – sostiene Flavio Tranquillo – può essere un vero strumento per la diffusione di tale cultura: rispetto, regole, disciplina sono lucerne che rischiarano il buio sul sentiero verso l’alba della legalità.

Come sintesi, messaggio conclusivo e augurio per i ragazzi, al termine di un incontro così ricco, denso e intenso sono state utilizzate le parole del magistrato Antonino Caponnetto, che così si esprimeva nel 1996, a quattro anni dalle stragi di Capaci e di via D’Amelio:

Possiamo ancora sperare? Voi dovete sperare perché siete giovani. Lo stimolo della speranza a chi volete lasciarlo, ai vecchi come me, che a 76 anni non cessa di sperare fino all’ultimo respiro? “Non abbiate paura” – diceva don Tonino Bello – “se avete un briciolo di speranza voi cambierete il mondo”. Dovete essere voi a cambiare il mondo, non lasciate che i disonesti lo cambino. Ragazzi, godetevi la vita, innamoratevi, siate felici ma diventate partigiani di questa nuova resistenza, la resistenza dei valori, la resistenza degli ideali. Non abbiate mai paura di pensare, di denunciare e di agire da uomini liberi e consapevoli”.

Giuseppina Rosato